L’appello dell’Accademia della Crusca: “Scrittura a mano a rischio, guai a chi vuole trasformare il nativo digitale in un analfabeta sostanziale”
L’allarme di Claudio Marazzini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca: la scrittura manuale non deve essere sacrificata sull’altare della tecnologia. In un’epoca dominata da tastiere e schermi touch, Marazzini sottolinea l’importanza di preservare questa forma educativa primaria e strumento utilissimo.
Non basta muovere le dita veloci su una tastiera
La scrittura a mano richiede un controllo motorio e una coordinazione occhio-mano che favoriscono lo sviluppo cognitivo e la concentrazione. Inoltre, permette di esprimere la propria individualità e creatività in modo unico.
Il rischio dell’analfabetismo sostanziale
Marazzini mette in guardia contro il pericolo di trasformare i nativi digitali in analfabeti sostanziali, incapaci di appunti veloci, di prendere note o di firmare un documento.
L’importanza del corsivo
lire la suite : https://www.orizzontescuola.it/lappello-dellaccademia-della-crusca-scrittura-a-mano-a-rischio-guai-a-chi-vuole-trasformare-il-nativo-digitale-in-un-analfabeta-sostanziale/
Aveva 85 anni. Aveva ricevuto il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale Danza nel 2014
È morto a 85 anni il coreografo e danzatore statunitense Steve Paxton. Lo ricorda oggi la Biennale di Venezia, esprimendo il proprio cordoglio. Paxton ha fatto la storia della danza e delle arti in generale: protagonista della rivoluzione artistica che ebbe il suo epicentro a New York negli anni 70 nella Judson Church, ha diffuso nel mondo il post modern americano e la contact improvisation, con una ricerca condotta in maniera tanto appartata quanto con coerenza di stile e di vita.
Celebrato in tutto il mondo come autore di spettacoli seminali, fra cui spicca il capolavoro delle Goldberg Variation, Paxton ricevette il Leone d'oro alla carriera della Biennale Danza nel 2014. In quell'occasione fu presentata Bound, una successione di episodi, interpretati dal danzatore sloveno Jirij Konjar, a cui Paxton aveva passato il testimone sulla scena, ognuno dei quali rappresenta un microcosmo isolato, in un processo di accumulazione quasi numerica
I critici dei giornali britannici concordi: “Una delle esposizioni più potenti della storia”. Fino al 23 giugno
02 FEBBRAIO 2024 dal nostro corrispondente Antonello Guerrera
LONDRA. LONDRA
Raramente una mostra in Inghilterra aveva ricevuto da tutti i principali quotidiani cinque stelle su cinque e complimenti rari. Ma, come spesso accade nel cuore dell’ex British Empire, qui sono pazzi per l’Impero Romano. Il Telegraph sentenzia: «Una delle mostre più potenti nella storia del British Museum». Il Times: «L’entusiasmo è irresistibile». Il Guardian: «Roma per tutti». L’Evening Standard: «Una rassegna mozzafiato».
Del resto, l’Impero Romano è uno dei capitoli della storia più amati dagli anglosassoni, basti pensare al Gladiatore con Russell Crowe, i saggi della grande storica Mary Beard fino ai video su TikTok.
C’è un precedente prestigioso: nel 2013 sempre il British Museum – attualmente terzo museo al mondo per visitatori con oltre 4 milioni all’anno – organizzò una mostra su Pompei. Ebbe un successo clamoroso, come l’omonimo romanzo di Robert Harris. Tanto che il numero degli ingressi schizzò del 20 per cento rispetto alla media di quel periodo e venne prodotto addirittura un documentario sulla rassegna: Pompeii Live from the British Museum.
Miracolo di Santa Chiara, XIII secolo, antica chiesa di Santa Chiara, Nola
27 GENNAIO 2024 di Marcello Simoni
Dalla poetessa benedettina Rosvita a Ildegarda di Bingen, tra il XIII e il XV secolo le suore furono un’avanguardia sapiente che solo ora si riscopre
“Pregate per l’amanuense che scrisse questo libro. Il suo nome è Elisabeth”. Così si legge nel colophon di un graduale cistercense sopravvissuto alle nebbie del Medioevo germanico. Suor Elisabeth, vissuta in un monastero della Baviera verso il 1260, non rappresenta certo un unicum. Ermenegarda di Lamspringe, Eufemia di Firenze, Agnese di Quedlinburg e un’altra Agnese, vissuta presso il convento padovano di San Pietro, sono solo alcune delle tante monache che tra il XIII e il XV secolo svolsero il lavoro di scriba, di traduttore, di copista e forse anche di miniaturista presso lo scriptorium di qualche rinomato monastero europeo.
Serata di grandi emozioni in Arena Shakespeare per lo spettacolo di
Simona Atzori dal titolo I miei 20 anni + 2, organizzato dall'Employee
Resource Group di Barilla, Fondazione Munus e Filarmonica Toscanini.
L'artista è salita sul palco insieme a una compagnia di artisti che
l'aiuta a rendere vivi i ricordi e a restituirli come dono al pubblico.
Dal Teatro alla Scala di Milano i danzatori Marco Messina e Salvatore
Perdichizzi, dalla SimonArte Dance Company le danzatrici Beatrice
Mazzola e Marta Bentivoglio, dal Sermig Laboratorio del suono i
musicisti e cantanti Marco Maccarelli e Mauro Tabasso. Insieme a loro le
attrici e cantanti Alessandra Anelli e Nadia Scherani, l’assistente
alle luci Valeria Bonalume e gli artisti della scuola di danza
Professione Danza Parma Formazione Professionale diretti da Lucia
Giuffrida. Ospte della serata l'ex ballerina internazionale Liliana
Cosi.
Foto Marco Vasini.
Cosimo Damiano Germinario ha 16 anni e vive a Molfetta. La sua passione è
iniziata fin da piccolo: “Un apparecchio acustico mi consente di
avvertire il 20% dei suoni, ma medici e istruttori non si spiegano come
possa sentire il ritmo”
Sogno di arrivare al prossimo Mondiale e perché no, di partecipare a un
talent in televisione”. Cosimo Damiano Germinario, ballerino 16enne di
Molfetta, audioleso, in meno di un mese ha conquistato due medaglie (una
d’oro e l’altra d’argento) nel corso dei campionati nazionali di danza
sportiva che si sono svolti a Rimini tra giugno e luglio scorsi. Ma
pensa già ai prossimi traguardi: “Quando volteggio mi sento come i
normodotati, senza nessuna disabilità, e mi emoziono tantissimo”.
Pensatore universale, tra i più grandi intellettuali europei, non
nasconde la sua preoccupazione: “Attraversiamo una crisi di civiltà come
negli anni Trenta. Dovremmo ripensare la politica”
PARIGI – “Attraversiamo una crisi di civiltà, e il campo democratico
potrebbe essere sconfitto”. Nel corso di una vita lunga un secolo, Edgar Morin ha abbracciato saperi diversi, con i volumi della Méthode,
l’opera enciclopedica scritta tra il 1967 e il 2006 per il quale si è
guadagnato il soprannome di “Diderot del Novecento”. Pensatore
universale, tra i più grandi intellettuali francesi, ha avuto
un’esistenza fuori dal comune: la nascita l’8 luglio 1921 nella comunità
ebrea sefardita del quartiere di Ménilmontant, la perdita della madre
quando aveva dieci anni, il coraggio di passare nella Resistenza durante
l’Occupazione, l’impegno politico nel partito comunista prima di
allontanarsene e denunciarne le epurazioni, gli anni dedicati alla
ricerca sociologica che lo hanno proiettato...
Lo spettacolo ideato dal Teatro Donizetti di Bergamo ispirato alla biografia della showgirl debutterà il 29 settembre.
Raffaella Carà è stata inviata sulla terra da una galassia lontana. La sua missione:
combattere il conformismo dell'Italia democristiana, clericale e
bigotta dagli schermi della Rai anni Settanta. La sua arma più potente è
l'ombelico (scoperto) con cui lotta sotto l'insegna del Tuca tuca. Racconterà questo Raffa in the sky,
la 'fantaopera' che trasforma la biografia della showgirl in un
melodramma idealmente ispirato a Rossini, Donizetti, Verdi. Raffella
Carrà come la "Traviata": un'eroina che concede il suo corpo per la
redenzione delle coscienze (e l'emancipazione sessuale di una nazione). A
ideare lo spettacolo è il Teatro Donizetti di Bergamo nell'ambito di
"Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura", quattro recite dal 29
settembre all'8 ottobre.
"Ciò che vogliamo rappresentare è la vicenda di una primadonna che
libera il corpo femminile dalla schiavitù del patriarcato. Una
rivoluzionaria, a suo modo. Di certo una donna sulla bocca di tutti,
come lo è stata ogni protagonista di melodramma nell'età d'oro, si
chiami Lucia di Lammermoor o Violetta Valéry", spiega il regista Francesco Micheli,
coordinatore del progetto in qualità di direttore artistico del
Festival Donizetti. Del team che sta lavorando con lui alla creazione
dell'opera fanno parte Renata Ciaravino e Alberto Mattioli, librettisti, e il compositore Lamberto Curtoni (al momento impegnato nella strumentazione della partitura), poi si uniranno il direttore d'orchestra Carlo Boccadoro e le voci di Dave Monaco, Gaia Petrone, Carmela Remigio. La parte della Carrà viene cucita addosso a Chiara Dello Iacovo, cantautrice-attrice uscita dal contest tv The voice,
seconda tra le Nuove proposte di Sanremo 2016. "Non vogliamo fare un
biopic, anche se i fatti mostrati sono tutti reali; e dobbiamo molto
alla consulenza di Sergio Japino. Piuttosto ci valiamo
di Raffaella come specchio della storia italiana dell'ultimo mezzo
secolo. Renderla protagonista di un'opera è attestarne la sua dimensione
mitica, di figura esemplare che trascende l'umano. E la partitura
sottolinea tale aspetto con il genere di canto che le è affidato. Mentre
tutti gli altri sfoderano una vocalità belcantista, quella tipica del
melodramma da Mozart a Donizetti, lei ha una voce diversa, non lirica, a
evidenziare che si tratta di un essere estraneo al mondo. Di
un'autentica dea. Di una figura stellare come la Madonna e allo stesso
tempo vicina a tutti noi come una sorella, tanto che tutti la chiamiamo
familiarmente Raffa".
Scesa nel nostro mondo da Arcadia, pianeta degli artisti governato da
re Apollo XI, Carrà si trova subito proiettata all'interno di un
singolare campo di battaglia, quello del piccolo schermo. "Nell'opera
assistiamo agli sconvolgimenti che le sue apparizioni televisive portano
in una famiglia piccolo-borghese di immigrati dal Sud. Vedendone gli
show, i genitori si rendono conto che sta franando sotto i loro piedi il
modello rurale, patriarcale, entro cui sono stati cresciuti. E il
figlio, che non è più possibile educare secondo i sani principi di una
volta, scopre quanto sia bello far l'amore da Trieste in giù: grazie
all'esibizione dell'ombelico della Carrà come oggetto di piacere,
comincia a scoprire il proprio corpo e a misurarsi con una variopinta
sessualità". Del resto, prosegue ancora Micheli, "la rivoluzione di
Raffa è un po' simile a quella di san Francesco. Come lui, con il suo
esempio, sollevò i giovanotti ricchi dal perseguire l'ideale
cavalleresco dei padri, così il Tuca tuca ha affrancato la
sensualità femminile dall'idea di mercimonio, poiché il corpo appartiene
alla donna, che dunque può esibirlo anche soltanto per far piacere a se
stessa". La canzoni più celebri di Raffaella Carrà costellano lo
spettacolo, che si autofinanzia: per produrlo, una quarantina di sponsor
del territorio ha donato 600 mila euro.